Secondo la ricerca dell'Università di Oxford, pubblicata sul BMJ, l'assunzione di una terapia ormonale sostitutiva durante la menopausa non aumenta il rischio di demenza, ma la permanenza di tali trattamenti a lungo termine, per cinque anni o più, è risultata collegata a un leggero aumento della malattia di Alzheimer. Fino ad oggi le prove sui collegamenti tra la terapia ormonale sostitutiva e l'Alzheimer sono state contrastanti. Alcuni studi suggerivano che avrebbe potuto avere un effetto protettivo, mentre per altri avrebbe aumentato i rischi.
Lo studio delle università di Oxford, Southampton e Nottingham, che ha coinvolto più di 600.000 donne, è uno dei più grandi mai intrapresi. Si è scoperto che seguire una terapia ormonale sostitutiva per un massimo di cinque anni non aumenta il rischio di demenza, tuttavia, il passare del tempo è il fattore decisivo. Infatti, continuare la terapia a base di estrogeni-progesterone da cinque a nove anni incrementa il rischio di malattia di Alzheimer dell'11%, mentre mantenerla per più di un decennio lo incrementa fino al 19%.
Lo studio ha confrontato 118.501 donne di età pari o superiore a 55 anni con diagnosi di demenza tra il 1998 e il 2020 con 497.416 donne della stessa età senza la condizione.In ciascuno dei gruppi, il 14% delle donne ha utilizzato la TOS per più di tre anni. "Questo ampio studio osservazionale non ha trovato alcuna associazione complessiva tra l'uso della terapia ormonale in menopausa e il rischio di sviluppare demenza", hanno concluso gli autori.
In un articolo collegato, la professoressa Pauline Maki, dell'Università dell'Illinois, e la professoressa Joann Manson, della Harvard Medical School, hanno affermato che lo studio dovrebbe fornire "rassicurazioni" alle donne a cui è stato prescritto il farmaco per "sintomi vasomotori" - come vampate di calore e sudate notturne.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)