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Gabaglio Letizia

La corsa all’oro. Il farmaco contro l’Alzheimer

La Repubblica, 08-12-2015, p.38

Ancora non si è trovata una cura per l’Alzheimer, solo qualche terapia per alleviare i sintomi. I risultati delle aziende farmaceutiche sono scoraggianti: dei 244 composti sperimentati in 413 trial dal 2002 al 2012, solo 14 sono ancora papabili di diventare delle terapie. Trovare la molecola giusta equivarrebbe a scovare la gallina dalle uova d’oro, visto che l’Alzheimer è considerata una delle emergenze del futuro. Per questo c’è stata grande soddisfazione quando all’Alzheimer’s Association International Conference sono stati presentati i dati sull’azione di aducanumab, che dimostravano l’efficacia di un anticorpo monoclonale sia nel diminuire le placche amiloidi nel cervello dei pazienti che nel migliorare le capacità cognitive. Anche se la sperimentazione è preliminare, fatta su 166 pazienti, e tendeva principalmente a dimostrare la sicurezza del farmaco. Ma visto i risultati promettenti la Biogen, che produce il farmaco, ha deciso di passare a studi molto più vasti che ne analizzino l’efficacia. Due trial con centinaia di centri di ricerca coinvolti, fra cui 16 ospedali italiani coordinati dal San Raffaele di Milano e dalla Fondazione Santa Lucia di Roma. «Questi farmaci - spiega Carlo Ferrarese, direttore scientifico del Centro di Neuroscienze dell’università di Milano- Bicocca - legano la proteina e la trasportano nel sangue, eliminandola quindi dal cervello. Ma solo se i pazienti hanno ancora una forma lieve di demenza si riesce a migliorarne le condizioni». I ricercatori hanno visto, anche con il solanezumab, che può ridurre le formazioni di amiloide, e portare vantaggi ai pazienti meno gravi, che per avere dei buoni risultati bisogna intervenire agli esordi della malattia. «Gran parte dei fallimenti accumulati negli scorsi anni si deve all’aver arruolato pazienti troppo avanti con la malattia. D’altronde fino a pochi anni fa non avevamo neanche gli strumenti per individuare i meccanismi biologici per fare la diagnosi con un anticipo anche di anni», prosegue Ferrarese. Grazie alle tecniche di imaging e all’analisi della quantità di proteina presente nel liquido cerebrospinale, che sono i due test che insieme permettono di stimare il rischio di un individuo di sviluppare la malattia, gli sperimentatori hanno potuto scegliere i pazienti giusti, sui quali è stato possibile vedere dei risultati. Altra strada che si sta seguendo è sulle sostanze che bloccano la proteina tau, che nei malati di Alzheimer è prodotta in quantità eccessive. Una speranza viene dal salsalato, usato nei malati di artrite reumatoide come si vede dallo studio pubblicato su Nature Medicine condotto sugli animali che ha dimostrato che l’assunzione di salsalato diminuisce i livelli di proteina tau, migliora le capacità cognitive e rallenta la degenerazione dell’ippocampo, un’area fondamentale per la formazione della memoria.

(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)

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Autore (Cognome Nome)Gabaglio Letizia
Casa Editrice, città
Collana
Anno Pubblicazione2015
Pagine38
LinguaItaliano
OriginaleNo
Data dell'articolo2015-12-08
Numero
Fonte
Approfondimenti Online
FonteLa Repubblica
Subtitolo in stampaLa Repubblica, 08-12-2015, p.38
Fonte da stampare(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)
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Parole chiave: Cura Farmaci Malattia di Alzheimer Ricerca