Secondo gli ultimi dati Istat, gli italiani affetti dal morbo di Alzheimer sono circa 600mila, su un totale di oltre un milione di pazienti a cui sono stati diagnosticati sintomi di demenze. Oltre tre milioni sono invece i coniugi, i figli o i fratelli che assistono o si prendono cura di un loro congiunto con patologie di questo tipo.
Non sono ancora stati compresi tutti i meccanismi che causano la malattia di Alzheimer, su cui influiscono certamente età e stili di vita, ma la ricerca scientifica anche in questo campo fa passi da gigante. Grazie soprattutto ad esperienze di alto livello come quella bresciana dell’IRCCS dell’Ordine Ospedaliero San Giovanni di Dio, proprietà della Provincia Lombardo Veneta dei frati di “Fatebenefratelli”, guidata dal priore fra’ Gennaro Simarò.
La struttura, diretta da Renzo Baldo, è un “avamposto” a livello nazionale anche per la diagnosi e la cura di tutte le malattie psichiatriche e dei disturbi neurocognitivi: conta 60 posti letto, di cui 40 nell’ambito dell’Alzheimer e 400 tra dipendenti e collaboratori di ricerca. Il modello seguito dall’IRCCS di Brescia è quello dell’integrazione tra strategie terapeutiche e pratiche socio-assistenziali innovative che coinvolgono sempre, insieme con i pazienti, le loro famiglie.
«Il nostro istituto è tra i pochi in Italia che studia in modo rigoroso e integrato le caratteristiche dei caregiver e gli effetti degli interventi a loro indirizzati, grazie a finanziamenti territoriali e internazionali», spiega Cristina Festari, responsabile di un progetto di ricerca sostenuto dall’Alzheimer Association e finalizzato a sviluppare nuovi interventi attraverso le più moderne tecnologie. La collaborazione tra il familiare e il clinico servirà anche a tenere il paziente il più possibile a casa, alleviando in tal modo anche il sistema sanitario».
«Nell’ambito della terapia di riabilitazione neuro-psicologica e del linguaggio abbiamo un costante rapporto con i clinici – afferma la psicologa e ricercatrice Maria Cotelli – al fine di adottare trattamenti individualizzati anche attraverso la telemedicina, che consente di intensificare la cura e raggiungere a domicilio il paziente usando apparecchiature speciali come lo schermo dotato di un algoritmo avanzato che corregge le performance del paziente all’inizio supportato da un addetto facilitatore».
(Sintesi redatta da: Righi Enos)