Una delle criticità che il coronavirus ha evidenziato è quella legata alla residenzialità per gli anziani e per i pazienti fragili.
Prevenire le patologie dell’invecchiamento e assicurare adeguati livelli assistenziali costituiscono due obiettivi imprescindibili delle moderne politiche di welfare che richiedono, anche alla luce della pandemia Covid-19, un’attenzione ancor più specifica.
Basti pensare a quanto le tecnologie (telemedicina, teleriabilitazione…) possano essere leve strategiche in grado di riqualificare la rete di cura, assicurando nuovi metodi di gestione ed erogazione dei servizi socio-sanitari.
Alcuni rapporti stanno dimostrando quanto i modelli organizzativi regionali costruiti sulla medicina territoriale e sull’assistenza a domicilio stiano favorendo la gestione della pandemia.
È evidente, inoltre, che accanto allo sviluppo dell’assistenza a domicilio, bisogna sviluppare altre forme di prevenzione e cura utili ad aiutare i futuri anziani a migliorare le condizioni di vita e di salute.
Si dovrà lavorare per garantire a chi invecchia una situazione abitativa adeguata, accessibile e sicura con servizi sociosanitari di prossimità e che garantisca un legame costante con il proprio vissuto e gli affetti.
Il welfare europeo va sempre più orientandosi verso l’abitare, anche quando questo si accompagna a patologie croniche e/o invalidanti e soprattutto va fuori dall’Ospedale e strutture concettualmente simili. È certo però che si devono superare i tanti problemi che caratterizzano il patrimonio abitativo degli anziani nel nostro paese: case vecchie, piene di barriere architettoniche, scarsamente fruibili. Bisogna prevedere politiche mirate a migliorare la qualità dell’abitare , che provvedano per tempo ad occuparsi delle esigenze ed aspettative per la fase più avanzata della vita, prima che insorgano le fragilità e le debolezze della vecchiaia.
Il modello delle USCA, le unità speciali di continuità assistenziale per il contrasto alla diffusione del coronavirus, possono essere integrate ai servizi di assistenza domiciliare e si potrebbero abbinare a soluzioni flessibili e innovative per la “residenzialità leggera” e a servizi on demand per le cronicità.
Nuovi modelli basati sulla dimora naturale, come quelli danesi, che non impongano separazioni, facilitino i percorsi di vita, e che non costringano le persone a cambiare necessariamente abitazione in caso di disabilità.
Strutture di housing sociale che non confinano, ma che abbinano gli aspetti della vita indipendente a quelli della vita assistita, rendendoli più fluidi e più tollerabili anche rispetto alle abitudini di vita.
Un modello che superi il concetto di Casa di Riposo o Residenza Sanitaria Assistita come approdo naturale della senescenza, ma dove l’abitare ed i servizi siano strettamente collegati, dove le persone possano ricevere prestazioni sociosanitarie, indipendentemente dal luogo in cui esse dovranno essere garantite ed erogate.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)