Prima di definire i possibili punti di contatto tra welfare aziendale e digital health, l’articolo si focalizza sulla gamma di possibili interventi delle imprese nell’ambito della sanità integrativa. Individua due principali aree d’azione. La prima riguarda i fondi sanitari integrativi, che erogano prestazioni aggiuntive rispetto a quelle garantite dal servizio sanitario pubblico. In base ai dati forniti al 2016 dall’Anagrafe dei Fondi del Ministero della Salute, tali realtà in Italia sono 305, mentre il numero di iscritti complessivo è pari a 9,1 milioni, con un tasso di copertura assicurato che è passato dal 5% dei lavoratori (di inizio 2000) ad uno del 38% nel 2015. Secondo una recente analisi(Arlotti et al. 2017), ciò è dipeso da una serie di fattori: gli incentivi fiscali destinati alle imprese; un’evoluzione dei modelli di relazioni sindacali; l’ampio spettro di prestazioni offerte dai fondi; la percezione da parte dei cittadini di un aumento dei costi e dei tempi di attesa per l’accesso ai servizi del SSN. La seconda possibile area d’azione riguarda l’assistenza a familiari anziani e non autosufficienti. In questo caso si fa riferimento al pagamento o al rimborso di prestazioni volte a favorire l’autonomia e la permanenza del familiare nel domicilio oppure per l’assistenza residenziale o semi-residenziale. L’azienda può inoltre sostenere le spese relative alle polizze e alle formule assicurative destinate alla Long Term Care (non autosufficienza) e alle Dread Disease (gravi patologie). Questo campo di intervento (già compreso nella precedente normativa) è stato aggiornato e ampliato dalle Leggi di Stabilità del 2016 e del 2017. L’effetto è stato un rafforzamento del ruolo dell’impresa in un area di policy che, visti i carichi di cura che le famiglie oggi sostengono a causa dell’allungamento della vita e del contestuale aumento della disabilità (ISTAT 2017), risulta ancora particolarmente trascurata dall’attore pubblico.
(Sintesi redatta da: Carrino Antonella)