Se nei primi anni Sessanta, in Italia la quota di popolazione con oltre 65 anni di età era inferiore al 10% del totale, oggi abbiamo raggiunto il 23%. Tra una ventina d’anni, secondo le previsioni dell’Istat, potremmo raggiungere ben il 33%. Cioè un cittadino su tre sarà anziano, per lo più pensionato, talvolta con necessità di assistenza. Ecco perché il dato non è soltanto statistico, ma presenta riflessi importanti per la sanità, l’economia, il lavoro, il welfare, la vita sociale.
L’ecatombe di decessi di anziani provocata dal Covid – in Italia oltre 100mila cittadini over65 scomparsi in poco più di un anno - sembra aver concentrato l’attenzione sulla “qualità dei decessi”, accompagnata dallo stucchevole dibattito sul differente “tasso di produttività” che caratterizzerebbe i giovani rispetto agli individui in età senile. Una controversia decisamente fastidiosa, comprendente anche qualche uscita pubblica non proprio felice sulla “difformità” tra i cittadini determinata dall’età (insomma, brutalmente, della serie “meglio loro che noi”). Ciò ha finito per deviare l’attenzione da una questione ben più seria: il fenomeno ormai endemico dell’invecchiamento dei cittadini dei Paesi più sviluppati.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), il testo con cui il governo illustra come spenderà i fondi che arriveranno dall’Unione europea tramite il Next Generation Eu (Recovery Fund), stanzia quattro miliardi per la terza e la quarta età (missione 6). Tra i principali obiettivi rientrano la crescita dell’assistenza a casa e la riconversione delle Rsa, le residenze sanitarie assistenziali, che oggi ospitano 385mila persone, di cui 210mila in condizione di non autosufficienza.
L’obiettivo è quello di aumentare il numero delle prestazioni sanitarie a casa fino a prendere in carico, entro la metà del 2026, il 10% della popolazione di età superiore ai 65 anni. Si spera che tutto ciò serva a restituire agli anziani la dignità loro assicurata in quella sana civiltà contadina che ha caratterizzato la nostra società per secoli. Per andare avanti, spesso, occorre guardare indietro.
(Sintesi redatta da: Righi Enos)