La pandemia mette in luce debolezze del Servizio sanitario che era stato pensato nel 1978 su una dimensione «locale». Reggono i luoghi dove è forte la coesione sociale.
La prima "crepa" è stata, certamente, la mancanza di una strategia di salute territoriale, nonostante l’Italia si fosse dotata dal 1978 di un Servizio Sanitario Pubblico basato sulla dimensione «locale» di prevenzione e cura delle malattie.
La seconda crepa è stata l’assenza di un vero impianto italiano di assistenza domiciliare sanitaria e socio-sanitaria: dalla legge 833/78 che ad oggi (dopo 42 anni) sarebbe dovuta divenire un’eccellenza nostrana (all'art 1 recita: "la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività mediante il S.S.N. La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana", l’Italia ha risposto alla crisi principalmente con il paradigma organizzativo degli Ospedali, che mentre erano parte della soluzione diventavano gran parte del problema.
Un’altra crepa vistosa è stato il welfare delle strutture accreditate per anziani e disabili, dove la sconnessione tra salute territoriale e Residenze Sanitarie Assistite ha fatto di quelle micro comunità degli hub (dispositivo di rete che funge da nodo di smistamento) perfetti per il virus. Hanno retto le aree interne dove la coesione sociale ed il welfare preesistevano alla crisi e dove, l’innovazione sociale, necessaria, aveva prodotto negli anni metodologie nuove di connessione tra salute e territorio, per ovviare alla mancanza o distanza di servizi ospedalieri e di servizi in genere.
Hanno tenuto quelle comunità che in questi anni avevano creato alleanze vere ed efficienti tra amministrazioni comunali, medici di medicina generale, Terzo settore.
(Fonte: tratto dall'articolo)