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Carrino Antonella

Gli anziani, il Coronavirus e la cultura dello scarto

25-02-2020

La diffusione del coronavirus (Covid-19) in Nord Italia sta facendo emergere uno dei nostri maggiori difetti: il pressapochismo che si traveste dietro gli stereotipi. Due personaggi pubblici hanno sottolineato molto opportunamente l’eufemismo che in tv e sui giornali si usa in questi giorni per definire gli anziani deceduti per coronavirus .

Come sottolinea Adriano Sofri sul Foglio (Il coronavirus e la differenza fra una statistica e una vita del 25/2/2020) li chiamiamo “malati già compromessi”. Esperti in Tv e sui giornali li definiscono quotidianamente “malati fragili” oppure “con pluripatologie”. In pratica un modo elegante per dire “di qualcosa si deve pure morire”. E rincara la dose una professionista in tv: “Sarebbero morti anche per una normale influenza”.

In questo momento di isteria, in cui i supermercati del Paese sono presi d’assalto come fosse scoppiata la guerra, è bene ricordare che la vita che quegli anziani avevano era quella già vissuta ma anche quella che avevano davanti se non fossero andati a giocare a carte nel bar sbagliato (a Vo’ Euganeo) o non fossero entrati nel pronto soccorso “infettato” (a Codorno). Di certo quei signori  si meraviglierebbero di essere “deceduti” per coronavirus.  Forse speravano di morire di vecchiaia ma sapevano che di vecchiaia si vive e si può vivere in modo pieno e ricco di opportunità e rapporti proficui. Come quelli di amicizia e solidarietà ma anche quelli con i propri discendenti.

Invece bisogna avere il coraggio di dire che gli anziani morti fra  Lombardia e Veneto erano semplicemente esseri umani, con figli e nipoti probabilmente. Sapevano di non poter condividere la loro vita da adulti ma volevano essere felici con loro e magari seguire le loro apprensioni giovanili sui temi ambientali o solo essere loro confidenti nelle preoccupazioni del crescere e lasciare loro buoni ricordi.

Così li descrive Sofri sul Foglio “Hanno  voglia di dedicarsi a cose come piantare un ciliegio o sottoscrivere un’adozione a distanza controfirmandone la durata” e ancora “Sanno che non c’è niente di più terribile delle sciagure che invertono il corso della natura, falcidiano i giovani e lasciano i vecchi, come le guerre e gli assedi” e infine  "Con la morte stanno come con una vicina di stanza, certa e insieme distratta, capace di un volubile tempo supplementare”.

Ce lo ricorda anche  Rita Dalla Chiesa su Twitter.«Basta dire ‘ma erano anziani’. Erano prima di tutto persone».

Non si può che condividere, invitando a riflettere ognuno sui commenti assurdi che circolano sui social da quando è esplosa l’epidemia di Coronavirus in Italia.

Cattiverie che contengono una buona dose di ignoranza ma anche un modo vigliacco di affrontare la paura di un virus che, ricordiamo, non ha ancora un vaccino e non lo avrà, almeno per alcuni mesi.

Si vuole negare l’evidenza, ovvero che il COVID-19 è stato molto probabilmente il ‘colpo di grazia’ per queste persone in là con gli anni e con il sistema immunitario compromesso, ma arrivare a insinuare che, poiché erano malati oncologici, avevano una sentenza di morte già scritta è francamente troppo.

A questo punto si insinua nelle comunità la terribile convinzione che a 75-80 anni anni sia più che normale morire. Dimenticando che dietro a un uomo o una donna di quella età c’è una vita che se n’è andata e ci sono familiari che soffrono. Ognuno di noi dovrebbe chiedersi se di fronte alla perdita di un nonno o di un padre, di una nonna o di una madre, potrebbe sopportare che gli si dica che tanto erano ‘vecchi’ e per giunta malati.

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Autore (Cognome Nome)Carrino Antonella
Casa Editrice, città
Collana
Anno Pubblicazione2020
Pagine
LinguaItaliano
Data dell'articolo19000101
Numero
Fonte
Approfondimenti Online
Subtitolo in stampa25-02-2020
Fonte da stampare
Volume
Approfondimenti
Carrino Antonella
Attori
Parole chiave: Etica Fine vita