È un uomo imponente, Stephen King, di quasi due metri, con lo sguardo appuntito e il sorriso che difende ogni invasione di campo: ci tiene moltissimo a essere padrone del suo spazio e del suo tempo, e può permetterselo dall'alto di un successo editoriale che non ha pari. È nato 73 anni fa a Portland, nel Maine, e la sua infanzia è stata ferita dall'abbandono della famiglia da parte del padre Edwin, che lasciò in miseria la moglie Nellie, Stephen e suo fratello Daniel. Un altro elemento che ne ha segnato la poetica è stato il lavoro della madre, la quale ha dedicato tutta la vita all'assistenza dei malati di mente: la follia, e tutto ciò che alligna nell'anima degli esseri umani, è stata fonte costante di terrore, che ha tentato di esorcizzare nei suoi libri. «Invento l'orrore per abituarmi all'orrore dentro di noi», dice. Convinto liberal, ha appoggiato pubblicamente le campagne elettorali di Barack Obama, destinando parallelamente quattro milioni di dollari l'anno in beneficenza, perché è convinto che l'unico modo per combattere il male del mondo sia la generosità. Negli anni anche la moglie Tabitha si è rivelata una scrittrice di qualità, come il figlio Joseph, che si firma Joe Hill, mentre la figlia Naomi è diventata un ministro della Chiesa universalista. Ne parla con orgoglio, e quando riflette sulla propria concezione dell'esistenza dice «la speranza è una bella cosa, forse la più bella di tutte, e nessuna cosa bella muore».
(Sintesi redatta da: Linda Russo)