Augustine Taylor è sempre presente quando il tritarifiuti dà problemi, Internet ssmette di funzionare, o le luci si spengono. Ogni volta che gli anziani residenti di Goodwin House chiamano per un aiuto, Taylor, 46 anni, non si tira mai indietro. Il suo accento della Sierra Leone è ormai familiare e rassicurante per gli ospiti, come quello di altri operatori impiegati nella struttura, provenienti dal Camerun, da Haiti, dalla Giamaica. E così i residenti hanno deciso di fare qualcosa di straordinario. Negli Stati Uniti un lavoratore su quattro impiegato nelle strutture di assistenza a lungo termine è immigrato. Gli stranieri rappresentano circa il 17% dell'intera forza lavoro medica della nazione. E la maggior parte dei caregiver che si prendono cura di anziani e malati non autosufficienti sono immigrati.
Per aiutare i loro assistenti, gli anziani di Goodwin House, coordinati da una di loro, Rita Siebenaler, hanno deciso di trasformare 90 dipendenti stranieri in 90 nuovi cittadini americani. Siebenaler, 78 anni, è esperta nei problemi degli immigrati, avendo in passato prestato lavoro come assistente sociale. Ed è rimasta impressionata quando ha letto che la strada verso la cittadinanza stava diventando ancora più difficile per l’aumento delle tasse per l’immigrazione. Il costo per la presentazione del modulo di cittadinanza primaria, l'N-400, è infatti passato da 95 dollari nel 1994 a 640 dollari nel 2016. Poi l'amministrazione Trump ha proposto di quasi raddoppiarlo, a 1.170 dollari. Un giudice federale ha bloccato l’aumento, ma 725 dollari rappresentano ancora un costo elevato per molti che cercano una nuova vita.
L’idea di Siebenaler, quindi, è stata di proporre a tutti i residenti un contributo per aiutare gli immigrati impiegati nella struttura a pagare le tasse di cittadinanza raccogliendo così 40.000 dollari tra gli altri anziani, che si sono offerti volontari anche per istruire tutto il personale della struttura, gli assistenti sanitari, le domestiche e i cuochi, esercitandoli nell'ortografia, negli emendamenti costituzionali, sui diritti dei cittadini statunitensi e sulle altre domande del test di cittadinanza. Il capo della Fondazione Goodwin House, Valerie Burke, sta cercando di promuovere il programma presso altre comunità di pensionati, per favorire il potenziale di arricchimento reciproco.
"Alexandra mi ha aiutato a studiare", ha detto Miranda Tangie, 33 anni, nominando la residente che l'ha sostenuta per il suo esame di cittadinanza. Tangie aveva studiato per diventare insegnante nel nativo Camerun, "ma gli insegnanti non erano trattati così bene lì", così ha deciso di partecipare alla lotteria per un visto per gli Stati Uniti e ha ottenuto un posto, ma avrebbe dovuto lasciare i suoi gemelli alle cure di sua madre. "Voglio una buona vita anche per loro", ha detto, e ha scelto la via della cittadinanza.
"Le persone qui sono sempre sorridenti e così gentili con noi", ha raccontato un’altra operatrice. "E mi hanno cambiato la vita". L'impiegata giamaicana presso la caffetteria della Residenza ha detto che non ha mai avuto nonni durante la crescita. "Ma ora ho così tanti nonni", ha detto riferendosi ai residenti che l'hanno aiutata a studiare. Grazie all’iniziativa si è creata una forte solidarietà tra i due gruppi: residenti e operatori si sono incontrati per festeggiare insieme la conquistata cittadinanza. Conoscono i rispettivi figli e nipoti, condividono le loro storie. Gli immigrati vogliono vivere in un luogo dove si sentono apprezzati. E in una nazione in cui le famiglie possono essere separate da migliaia di chilometri, dove gli anziani sono spesso dimenticati, questi ultimi cercano la stessa cosa: essere valorizzati.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)