Il governo ha annunciato che si limiterà a confermare le attuali regole per l’uscita anticipata: non meno di 62 anni e 31 di contributi regolarmente pagati. Anche se ammette la volontà di «lavorare per comprendere come inserire altri strumenti e rivederne alcuni, come l'anticipo sociale, che vedo più ampio, e per le donne». Fin qui, per alcune categorie di lavori gravosi è stato possibile chiedere la pensione con trent’anni di contributi.
Una proposta è allargare le maglie, introducendo più flessibilità, ma conti alla mano significherebbe proporre pensioni anticipate con assegni inferiori di almeno un quarto. Il ragionamento che circola attualmente nella maggioranza si può riassumere così: proporre pensioni anticipate ma alleggerite aprirebbe contemporaneamente due fronti. In primis con la Commissione europea, che ha sempre raccomandato all’Italia prudenza sui conti previdenziali.
L’Italia, con la Grecia, resta il Paese con la più alta incidenza di spesa in proporzione alla ricchezza prodotta. E si aprirebbe un fronte con gli italiani alle prese con l’inflazione più alta da trent’anni. La sola conferma dell’attuale assetto costerà 2 miliardi di euro, tenuto conto dell’inevitabile conferma dell’aumento delle pensioni minime a 600 euro, introdotto una tantum l’anno scorso. Per cambiare il corso della spesa previdenziale occorrono anni e la visione lunga.
Uno studio di Eurostat dello scorso marzo dice che il tasso di natalità in Italia - 1,25 per donna - resta fra i più bassi dell’Unione, bel al di sotto della media dei Ventisette (1,53). Fanno peggio di noi solo la Spagna (1,19) e Malta (1,13). In cima alla graduatoria ci sono invece la Francia, con 1,84 bambini nati per mamma, seguita da Repubblica Ceca (1,83), Romania (1,81) e Irlanda (1,78). Una delle soluzioni è aumentare l’ingresso di immigrati extracomunitari: l’ultimo decreto flussi di luglio permette in un triennio l’ingresso di 500mila lavoratori regolari.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)