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Gheno Stefano

La pensione, un nuovo inizio

Psicologia contemporanea, 279, XLVI, 2020, pp.30-34

Senza timore di grandi errori, potremmo facilmente affermare che la prospettiva della pensione divide la popolazione attiva in due grandi gruppi: l'uno con una grande attesa e desiderio, l'altro con una repulsione istintiva. Sono molti i fattori che influenzano il desiderio o la repulsa nei confronti dell'andare in quiescenza. La frequentemente ostentata passione nei confronti della collocazione a riposo potrebbe nascondere pensieri di ben altra natura. Si tratta in effetti di una condizione ambigua in cui si confronta la dialettica tra l'attesa di un meritato riposo e il timore di uno svuotamento. La pensione, dunque, è un traguardo per molti, ma non per tutti.

Si può, però, morire anche di pensione: ci sono alcuni studi che attesterebbero l'opportunità, per mantenersi in buona salute, di prolungare il più possibile il periodo di lavoro, così come l'andare in pensione aumenterebbe la probabilità di sviluppare un disturbo fisico o mentale. Il lavoro, per quanto necessariamente faticoso, è qualcosa che permette l'espressione di sé, la realizzazione di una parte non insignificante della propria persona, la possibilità di portare e generare valore. Nella prospettiva della pensione dovremo dunque rielaborare l'immagine di noi stessi per recuperare quella dimensione di senso che la perdita del lavoro potrebbe facilmente ridurre. Ci sono persone che dedicano molto tempo e molte risorse cognitive ed emotive ad aspettare l’agognata pensione. Ce ne sono altre che invece si trovano pensionate "all'improvviso” vivendo tale circostanza come un annullamento di tutto ciò che ha valore. Resta comunque il fatto che la pensione è, per tutti o quasi, una nuova circostanza di vita che porta con sé una condizione nuova. Per non poche persone l'andare in pensione vuol dire rivedere il proprio uso del tempo.

Avere più tempo libero non significa necessariamente vivere meglio: dipende da quanto considero il mio nuovo tempo disponibile un'opportunità, la percezione del proprio valore spesso muta in concomitanza dell'uscita dal mondo del lavoro. Senza dubbio andare in pensione è una circostanza più normale "del perdere il lavoro” in seguito a un licenziamento o alla crisi della propria azienda. Qualsiasi cambiamento è difficile. Sostituire una condizione nota, ancorché faticosa, quale quella lavorativa con una ignota è tutt’altro che facile. Cresce la paura di non essere più all'altezza, cioè di non valere più. Così il desiderio si appanna. Il cambiamento per non essere nemico dev'essere desiderabile e desiderato. Può essere utile pensare al cambiamento non in termini di sostituzione, ma di aggiunta: una prospettiva integrativa in cui la pensione non sarà più solo il tempo del non lavoro, bensì un tempo nuovo in cui si può svolgere un nuovo lavoro. E quale sarà questo nuovo lavoro?
Non si tratta certamente di lavorare sempre e per sempre, sono ben note in letteratura le caratteristiche patologiche del workaholism, piuttosto, si tratta di evitare di interrompere un circolo virtuoso tra il proprio agire lavorativo, l'immagine di sé e la motivazione generativa. Nella mia esperienza professionale mi è capitato spesso di incrociare esempi positivi di questo "lavoro" della pensione: per esempio l'impegno nel volontariato ma anche una nuova disponibilità nella cura famigliare.

È proprio la questione della cura a rappresentare un elemento cruciale nella possibilità di vedere nell'andata in pensione un inizio e non un percorso di chiusura. ln ciò ci aiuta la SIGG (Società Italiana di Geriatria e Gerontologia) che già nel 2018 ha rivisto i parametri relativi all'ingresso in una fase anziana della vita dai 65 ai 75 anni. I trend demografici ci dicono che la popolazione del nostro mondo occidentale invecchia, e questo ha iniziato a produrre una situazione paradossale: prima che le generazioni più giovani si prendano cura dei molto anziani, troviamo sempre più di frequente "giovani anziani” prendersi cura con sistematicità dei loro nipoti. Il prendersi cura degli altri potrebbe quindi rappresentare una modalità di “active-aging". Nell’andare in pensione si tratterà, pertanto, di trovare un equilibrio tra il proprio desiderio di un nuovo spazio-tempo per sé e la necessità di mantenere un sentimento di utilità e di costruzione: la pensione come nuova opportunità di essere utili e di coltivare nuovi interessi.

È dunque questo il "lavoro" della pensione: non mettere a riposo cuore e cervello e non ridurre il desiderio di costruire, di essere utili e di apportare un contributo a sé e agli altri. Uno strumento essenziale per questa manutenzione della vita attiva è il desiderio che va coltivato con cura dato che spesso nelle persone anziane proprio il suo affievolirsi è la spia di un'incipiente dinamica depressiva che, a parere dei geriatri, rappresenta un rischio concreto entro i primi mesi dopo la pensione. Andare in pensione, dunque, può costituire un nuovo inizio in cui si vada a sperimentare una nuova immagine di sé, non diminutiva di quella precedente, ma piuttosto integrativa, consapevoli che la motivazione generativa dell'uomo, se adeguatamente coltivata, non si esaurisce mai.

(Fonte: tratto dall'articolo)

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Autore (Cognome Nome)Gheno Stefano
Casa Editrice, città
Collana
Anno Pubblicazione2020
Pagine30-34
LinguaItaliano
OriginaleNo
Destinatari
  • Studenti e ricercatori
Data dell'articolo19000101
Numero279
Fonte
Approfondimenti Onlinewww.psicologiacontemporanea.it/la-rivista/la-prima-volta/
FontePsicologia contemporanea
Subtitolo in stampaPsicologia contemporanea, 279, XLVI, 2020, pp.30-34
Fonte da stampare(Fonte: tratto dall'articolo)
VolumeXLVI
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Gheno Stefano
Attori
Parole chiave: Pensionamento, problemi del