I giovani sono “condannati” a procrastinare nel tempo l’uscita per la pensione e ad avere assegni da sussistenza: quelli entrati nel mondo del lavoro nel 2020, all’età di 22 anni, raggiungeranno l’età pensionabile a 71 anni, il dato più alto tra i principali Paesi europei e avranno una pensione povera. In Italia il futuro previdenziale incerto per le nuove generazioni, citando i risultati di uno studio di Eures.
La combinazione di discontinuità lavorativa e retribuzioni basse - sostiene - per i lavoratori under 35 determinerà un ritiro dal lavoro solo per vecchiaia, con importi pensionistici prossimi a quello di un assegno sociale. Una situazione che sarà socialmente insostenibile. Eppure secondo Eurostat la spesa pensionistica in Italia rappresenta il 17,6% del Pil (2020), il secondo dato più alto nell’Ue27 dopo la Grecia, ben sopra la media europea del 13,6%.
Con l’aumento dell’aspettativa di vita è destinata ad allungarsi anche la durata della carriera lavorativa dei giovani. La ricerca sottolinea come i giovani siano penalizzarti da retribuzioni più basse. Nel 2021, i lavoratori under 25 hanno ricevuto in media 8.824 euro, il 40% della retribuzione media complessiva, mentre quelli tra 25 e 34 anni hanno ricevuto in media 17.076 euro pari al 78% della retribuzione media.
Sempre nel 2021 più di un lavoratore under 35 su quattro ha percepito una retribuzione annua inferiore a 5mila euro. Ai bassi salari si aggiungono carriere discontinue e contratti instabili. Allargando lo sguardo al decennio tra il 2011 e il 2021 la quota di giovani con contratto a tempo indeterminato è scesa dal 70,3% al 60,1%.
Nello stesso periodo di tempo è aumentata l’incidenza dei contratti a tempo determinato e quella dei contratti atipici passata dal 29,6% al 39,8%. La ricerca non arriva al 2023 che ha visto i contratti a tempo indeterminato sostenere la ripresa occupazionale, andamento che può avere un impatto limitato sul trend decennale se non verrà confermato negli anni futuri.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)