Secondo un’analisi di PageGroup l’età è la causa più comune di discriminazione(34%); seguono il genere (23%) e il background culturale (22%). La digitalizzazione infatti ha cambiato le dinamiche legate all’apprendimento reciproco tra lavoratori. Se prima erano gli “anziani” a trasferire competenze, ora il peso dei giovani in questa reciprocità è cresciuto. Come è cresciuto il pregiudizio sul fatto che l’età avanzata determini uno scarso orientamento alla tecnologia e al digitale. In seno alle organizzazioni questo si rivela un problema, perché l’approccio giusto dovrebbe essere quello di una valutazione sulle competenze, e le competenze non hanno età.
Secondo la Cassazione, benché il pubblico interesse e gli obiettivi di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa che stanno alla base della norma consentano il licenziamento del dipendente pubblico che abbia maturato la massima anzianità contributiva, occorre, tuttavia, che questa facoltà di recesso venga esercitata nel rispetto dell’obbligo di motivazione dell’atto amministrativo che ne permette appunto l’esercizio.
A questo proposito è emblematica la pronuncia emessa il 10 novembre 2021 dal Tribunale di Milano, laddove la nullità del licenziamento è stata fatta discendere dalla circostanza che fosse stato «intimato per ragioni esclusivamente connesse con l’età anagrafica del ricorrente». Secondo il giudice, infatti, la «discriminazione per ragioni di età» emergeva dallo stesso tenore letterale della comunicazione di recesso, laddove il criterio adottato per l’individuazione del ricorrente quale lavoratore da licenziare era stato fatto coincidere con il (solo) «requisito anagrafico» e, quindi, con la sua «prossimità alla pensione».
(Sintesi redatta da: Nardinocchi Guido)