Secondo i dati del Continuous Household Survey 2019 dell'Istituto Nazionale di Statistica, in Spagna, circa cinque milioni di persone vivono sole. Prima della pandemia, non era necessariamente una scelta imposta. La psicologa e psicoterapeuta Cristina Viartola sottolinea: "Quando la solitudine viene imposta e viene tagliata la possibilità di scegliere il contatto sociale, come nel caso della reclusione, si può finire per generare sentimenti di pessimismo e disperazione". Questi sentimenti possono portare a depressione o ansia. Non solo. Secondo uno studio condotto per 13 anni dall'Ospedale universitario di Essen (Germania), l'isolamento sociale, che è più facile raggiungere vivendo soli in un momento in cui il contatto con altre persone è scoraggiato, aumenta del 50% il rischio di morire per qualsiasi causa. Inoltre, la mancanza di contatto fisico significa anche privarsi dei suoi benefici. Secondo l'American Psychiatric Association, basta un semplice abbraccio per ridurre il rilascio di cortisolo, l’ormone dello stress, e promuovere il rilascio di ossitocina, l'ormone della felicità. Tutto ciò può avere un impatto negativo sulla salute mentale, gravemente danneggiata in molti gruppi della popolazione durante la pandemia. Alicia Conejero, 62 anni, vive da sola nel suo appartamento di Barcellona, da quando sua figlia è diventata indipendente dieci anni fa. In pensione anticipata per malattia, prima della pandemia ha condotto una vita molto attiva: ha fatto parte di varie associazioni, di un progetto di edilizia cooperativa, e ogni giorno frequentava la palestra. Tuttavia, gli ultimi 12 mesi sono stati più difficili. Essendo immunosoppressa, la sua 'reclusione' è stata più severa e nei primi mesi non è nemmeno uscita a fare la spesa. "La casa mi cadeva addosso", ricorda. Sentiva anche una "tristezza universale" per la situazione e per il mondo. Ha così deciso di iniziare una terapia psicologica per “uscire dall'angoscia”. Adesso riesce a controllare di più la situazione e si sente "molto meglio".