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Costalunga Anna

Nelle aziende serve favorire lo scambio di competenze tra i nativi digitali e l’esperienza dei più anziani

14-12-2020

I lavoratori italiani over 50 sono più di 8 milioni e mezzo, il doppio di quelli nella fascia tra i 25 e i 34 anni. Il 50% di loro ammette di essere “in difficoltà” sul lavoro, ma è consapevole di avere ancora molto da offrire. Del resto, nell’ottica di un invecchiamento mondiale, sono sempre più numerose le iniziative aziendali volte a mantenere gli over lavorativamente attivi o ad offrire nuove occasioni occupazionali (anche per non incorrere nella temuta accusa di ‘ageismo). Come l’azienda ferroviaria tedesca, la Deutsche Bahn, il cui direttivo ha appena confermato la volontà di assumere almeno 2000 over-50 all’anno. Il presupposto è che questo capitale umano porterà il valore dell’esperienza, surrogato dalle comuni motivazioni personali di chi è alla ricerca di un im piego.

Certo le statistiche parrebbero dimostrare il contrario: in effetti da un’analisi sui tempi medi di ricollocazione risulta che – almeno in Italia - il tempo necessario ad un impiegato ed un quadro di oltre 50 anni per trovare un lavoro è quasi uguale rispetto ad un pari funzione di 20 anni: 6,6 contro 5,8 mesi. Un impiegato 50enne invece ha bisogno del doppio del tempo rispetto ad un 30enne: 6 mesi contro 2,9.

Questa difficoltà si coniuga con l’esigenza richiesta alle Risorse Umane di sviluppare piani e strategie che aiutino il lavoratore a rientrare nel mondo del lavoro, sviluppando un dialogo tra le diverse generazioni. Infatti, se da un lato i lavoratori anziani possono essere ‘gelosi’ delle loro competenze, dall’altro i giovani sono maggiormente in grado di usare i nuovo strumenti tecnologici. Dunque le competenze anziché essere antitetiche si incrociano e sono entrambe funzionali all’azienda.

Ed ecco che entrano in ballo concetti come ‘antichi’ come il mentoring, che prevede il trasferimento di conoscenze dai lavoratori anziani ai giovani, ed il più nuovo reverse mentoring. Con questo termine si indica oggi il processo mediante il quale i giovani con poca esperienza ma con alta competenza digitale aiutano i senior ad apprendere le nuove tecnologie. Una sorta di reciproco scambio di competenze che nessun corso di formazione potrebbe garantire e naturalmente con costi aziendali contenuti.

Se ben utilizzato, il reverse mentoring riesce a migliorare – a costi contenuti per l’Azienda - i processi per la gestione dei talenti, sviluppa meglio la leadership, diffonde il know-how, arricchendo lo scambio intergenerazionale tra i baby boom (i nati tra il 1945 ed il 1964) la generazione X (i nati tra il 1965 il 1980) e i millennials.

Questo processo di reciproco scambio di competenze, ideato nel 1999 da Jack Welch, ex Ceo della General Electrics, non mette in discussione la capacità di risoluzione di problemi che per antonomasia compete ai più anziani, grazie alla somma di competenze acquisite nell’arco di un’intera carriera professionale, ma li invita a studiare e familiarizzare con il mondo del digitale, mirando così a colmare il gap generazionale.

È indubbio che, grazie al reverse mentoring, i senior trasmettono ai millennials i valori aziendali, le logiche di business, la vision, accompagnandoli così nella loro crescita professionale.

(Fonte: Il Sole 24 ore)

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Autore (Cognome Nome)Costalunga Anna
Casa Editrice, città
Collana
Anno Pubblicazione2020
Pagine
LinguaItaliano
Data dell'articolo19000101
Numero
FonteIl Sole 24 ore
Approfondimenti Online
Subtitolo in stampa14-12-2020
Fonte da stampare(Fonte: Il Sole 24 ore)
Volume
Approfondimenti
Costalunga Anna
Attori
Parole chiave: Lavoro nella terza età Rapporti intergenerazionali