Gino Strada è stato molte cose, attivista del movimento studentesco, personaggio pubblico, scrittore, anima di una Ong che è intervenuta dal 1994 in 18 Paesi del mondo, per alcuni un eroe (vinse il Premio Right Livelihood, il Nobel alternativo), per altri un grillo parlante... così tante cose che il rischio è scordarsi quella principale: era un bravissimo chirurgo. La vita l’ha passata provando a salvare quelle degli altri.
Nato a Sesto San Giovanni, liceo classico al Carducci di Milano, dopo la laurea in medicina nel ’78 alla Statale si era specializzato in chirurgia d’urgenza: primo impiego all’ospedale di Rho, cardiochirurgia, poi chirurgia traumatologica. Pratica negli Stati Uniti, Stanford e Pittsburgh e ancora in Inghilterra e Sudafrica. Tra la fine degli anni Ottanta e il ’94 lavora con il Comitato internazionale della Croce Rossa, vola in Pakistan ed Etiopia, in Somalia e Bosnia. Durante una trasferta, diretto verso chissà quale scenario di crisi, è costretto a restare fermo a Gibuti in attesa di un visto. Sono in corso i campionati nazionali di bridge, trova un compagno, si iscrive e li vince. Poi riprende in mano il bisturi.la sua Ong ha curato 11 milioni di persone. E lui ricordava sempre che oltre il 90% dei feriti nei conflitti sparsi per il mondo sono civili, spesso bambini. «È questo il nemico?» domandava.
Sosteneva anche, semiserio, che non si può vivere lontani da un negozio di fiori. Gli piacevano. Chissà quanti ne ha portati a Teresa, prima che se ne andasse nel 2009. Era malato di cuore e il cuore lo ha tradito ieri in Normandia a 73 anni. Ora che anche lui non c’è più finisce la loro grande storia d’amore. «A giugno si era risposato con la dolce Simonetta» ha ricordato il sindaco di Milano Beppe Sala.
Cecilia, la figlia, ha saputo della sua morte mentre prestava soccorso nel Mediterraneo: «Non posso rispondere ai tanti messaggi — ha scritto — perché sono qui, dove abbiamo appena salvato vite. È quello che mi hanno insegnato lui e la mia mamma».
(Sintesi redatta da: Linda Russo)