Il fenomeno della riduzione delle nascite in Italia è un dato ormai noto e confermato da tutte le rilevazioni dell'ultimo decennio. Secondo i dati Istat nel 2018 si è giunti ad una media di 1,32 figli per donna.
Siamo apparentemente di fronte ad un inesorabile destino di spopolamento del nostro territorio, in cui l’allargamento della parte di popolazione anziana porterà il già precario equilibrio sociale ed economico al collasso.
Questo scenario è causato, da una parte, dal fatto che le donne diventano mamme sempre più tardi e, dall’altra, dal
baby bust
(dimezzamento del loro numero) rispetto al periodo del baby boom (Istat, Rapporto annuale “La situazione del paese, anno 2017”). Certamente per il nostro Paese la sfida di saper gestire una società matura è ardua e nei prossimi vent’anni avverrà uno dei cambiamenti più repentini e significativi nella sua struttura demografica (Rosina, 2018). Come spiega lo stesso autore: “una società con persone sempre più longeve diventa anche più matura ma non necessariamente meno dinamica, meno innovativa meno produttiva, meno in grado di generare benessere”. Questa è la sfida da raccogliere sin da ora.
I gap da affrontare per andare verso il futuro portando con sé sviluppo e benessere sono di vario tipo. Il primo riguarda il divario fra realtà e aspirazioni dei giovani, confermato dalla presenza preponderante di neet (chi non studia e non lavora) con pesanti ricadute su molti altri fronti: la scelta di rendersi autonomi, di fare una famiglia, di partecipazione civica e di piena cittadinanza (Rosina, 2018).
Il secondo gap riguarda i generi: sulla maternità influiscono i tassi di occupazione femminile. Il dato è confermato dalla recente analisi Istat sulle differenze di genere nella gestione dei tempi di lavoro (I tempi della vita quotidiana, 2019). Il terzo divario da gestire concerne il conflitto generazionale fra giovani e anziani, che si esprime in uno stato di fatto per cui entrambe le categorie si sentono minacciate e si contendono gli stessi posti di lavoro. Le imprese, a fronte di una legislazione che favorisce il permanere degli anziani al lavoro, sembrano non essere in grado di sostenere e favorire il ricambio generazionale.
Ad alimentare questi squilibri contribuisce anche il fatto che l’Italia è fanalino di coda tra i Paesi industrializzati sul fronte della mobilità sociale; fenomeno rispetto al quale il rapporto dell’Ocse del 2018 "A Broken Social Elevator? How to Promote Social Mobility", suggerisce di implementare iniziative che - in linea con il paradigma del social investment - allochino risorse in determinate aree di policy: in primo luogo nel campo della formazione.
(Sintesi redatta da: Carrino Antonella)