Il dolore è un'esperienza personale. Solo chi soffre può descriverlo. L'unico modo in cui un'altra persona può dedurre se qualcuno soffre è attraverso i comportamenti, verbali o non verbali.
È questo il motivo che ha portato L'Associazione internazionale per lo studio del dolore (IASP) ad adottare una nuova definizione del concetto stesso.
Il nuovo concetto, rivisto per la prima volta dal 1979, diventa così, nella traduzione fatta dalla società spagnola del dolore (SED) dall'originale in inglese, "una spiacevole esperienza sensoriale ed emotiva uguale o simile a quella associata a danni tissutali reali o potenziali”. -
Le principali novità della definizione sono due.
Il primo e più importante è: "Se non esprimo dolore, cosa succede, che non sento dolore? Se la sensazione dovesse essere spiegata, verrebbero lasciati fuori i bambini e gli anziani con problemi mentali che impedirebbero loro di verbalizzare il loro dolore", nota la Società.
Nella nuova definizione, invece, è possibile coinvolgere tutte queste persone che non hanno una voce per esprimere ciò che soffrono, riconoscendo il loro dolore anche se non riescono a descriverlo.
La seconda novità si riferisce alle complessità mediche e scientifiche del dolore, ma è condensata in un'unica parola: 'simile'. Il dolore di solito deriva da 'danno tissutale', da una lesione nel corpo, quindi dice che l'esperienza è "associata" a quel danno, ma ci sono anche casi in cui il dolore è simile solo a quello che causa quel danno o non è del tutto evidente.
"Ad esempio - sostiene la SED - quando i nostri recettori del dolore sono danneggiati. Se si ammalano, il dolore è lo stesso anche se è primario".
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)