La “Scuola Capitale Sociale”, propone formazione on line per offrire strumenti pratici e partecipativi per innescare e accompagnare il cambiamento verso la sostenibilità e l’equità. Tra i tanti corsi ha proposto anche gratuitamente su “La condivisione sociale del lutto da coronavirus”.

La docente era Marina Sozzi, filosofa e tanatologa impegnata da anni ad insegnare a “dire la morte”, tanto che a Torino, grazie al suo intervento c'è un rito funebre civile. Nel corso è emerso che il 10% dei partecipanti aveva da gestire il dolore, la rabbia e l’impotenza di un lutto diretto.
E sulla rabbia, sentimento molto diffuso, sono state attuate anche forme organizzate, come il gruppo Facebook intitolato “Noi denunceremo”, I suoi quasi 70mila iscritti vogliono scoprire se era possibile gestire l'emergenza da Covid in modo differente, e se qualcuno ha sbagliato vogliono che paghi. Il Covid ha messo in risalto il fatto che abbiamo ancora bisogno di codici emotivi condivisi. Troppi i traumi per le persone che non hanno potuto salutare i loro cari, molte, troppe comunicazioni di avvenuto decesso sono stati dati senza la dovuta delicatezza. Inoltre la mancanza di un corpo da piangere rende ancora più duro il lutto, in un momento in cui si avrebbe bisogno di vicinanza, che le modalità del distanziamento rende complicate.

In momenti in cui mancano i gesti, le parole assumono un’importanza eccezionale nella comunicazione del lutto. Per questo serve utilizzare i termini giusti, visualizzare i volti di chi non c'è più e anche pronunciarne pubblicamente i nomi, così da combattere contro la spersonalizzazione dei numeri. In questi mesi la tecnologia ha aiutato ad attuare gesti semplici, a creare una narrazione collettiva che aiuta a trasformare il trauma in dolore. Bisogna imparare a comunicare, anche nelle condizioni che ci impone la pandemia, perchè abbiamo imparato che peggio della perdita c’è solo il non poterla dire.