La legge quadro 328/2000 si inserisce in modo organico nel processo di espulsione della tutela sanitaria e nella collocazione all’interno della cosiddetta area dell’integrazione socio-sanitaria, nella quale non è prevista la piena gratuità degli interventi se non per gli indigenti. Dei disabili gravi che necessitano di assistenza continuativa, degli anziani malati cronici non autosufficienti, dei soggetti affetti da dipendenze e patologie psichiatriche. Per loro la sanità assume infatti a proprio carico solo una percentuale variabile di spesa per interventi da compiersi in un arco temporale predefinito.
Lo scenario sociale nel quale si colloca la legge è però caratterizzato da condizioni di povertà ed emarginazione di soggetti che, per inabilità, non possono procurarsi un reddito, e l’impoverimento, determinato dai bassi salari e dalla disoccupazione, di chi è invece abile al lavoro. La norma non risponde a nessuno di loro, perché è nell’ambito della previdenza e della tutela dei lavoratori che tali situazioni trovano una tutela, e non nel sistema dei servizi socio-assistenziali. Ma all’origine dell’impoverimento risiede proprio lo sforzo economico delle famiglie, impegnate ad assistere i propri cari affetti da patologie croniche che determinano una situazione di scarsa o nulla autonomia.
La tendenza ormai dominante è che ad occuparsi delle politiche sociali non sia lo Stato, bensì la società nel suo complesso, in forza del concetto di solidarietà, che prevede una relazione circolare tra l’ente pubblico, le imprese e il settore no profit. Soggetti tra i quali dovrebbe verificarsi una armonica comunione di intenti, sempre che il rapporto a tre venisse inteso in senso paritari, e le istituzioni rinunciassero ad esercitare il governo della cosa pubblica. Imprenditori e no profit sarebbero così impegnati a concorrere alle spese e ad adottare i modelli più appropriati per sopperire alle esigenze degli individui sul territorio.
Ma il mare di profit e non profit, che pure forniscono servizi sanitari essenziali laddove lo Stato è latitante, di fatto hanno contribuito a smantellare il welfare per il quale le generazioni del dopoguerra hanno lottato, superato dall’era del welfare caritatevole, quella in cui in Italia si è delegata l’assistenza al “quasi mercato” del Terzo settore e successivamente al mercato privato tout court. Poi però, finiti i soldi degli enti locali, svaniscono anche i servizi: quelli pubblici smantellati, quelli affidati al Terzo settore non più finanziati. A ciò ha contribuito anche la legge 328/2000 con la quale il legislatore ha disegnato un welfare che non persegue la tutela dei diritti sociali, ma rilancia l’ottocentesco principio della beneficenza, adattato alla moderna logica del mercato.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)