Uno studio recente condotto dall’ISS mostra che il 15,8% dei decessi legati alla pandemia da SARS-CoV-2 negli ospedali italiani ha riguardato persone affette da demenza.
Pazienti che presentavano al pari di altri la febbre come sintomo di esordio, ma che, a differenza di chi non aveva demenza, mostravano meno frequentemente, probabilmente proprio a causa dei problemi cognitivi, i sintomi tipici dell’infezione, quali dispnea e tosse.
Avevano inoltre minori possibilità di ricevere terapie di supporto e di avere accesso alla terapia intensiva, e mostravano un peggioramento clinico più rapido e aggressivo rispetto agli individui con cognizione piena.
È questo lo scenario delineato dai ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità che in uno studio apparso su Alzheimer’s & Dementia: Diagnosis, Assessment & Disease Monitoring, hanno esaminato le cartelle cliniche di 2.621 pazienti deceduti per Covid-19 e, tra questi, ne hanno identificati 415 affetti da demenza, tracciandone un identikit fisico – più frequentemente donne e più anziani rispetto agli individui senza demenza – e clinico – una maggiore prevalenza di fibrillazione atriale di ictus e una minore prevalenza di diabete di cancro e di obesità sempre rispetto a chi non aveva demenza.
“Sulla base dei nostri risultati, circa un decesso su sei correlato a COVID-19 si è verificato in persone con diagnosi di demenza – evidenzia Graziano Onder, direttore del Dipartimento malattie cardiovascolari e dell’invecchiamento dell’ISS – Ed è assai probabile che sia stata proprio la demenza ad influenzare significativamente e negativamente la sintomatologia, il decorso e la gestione delle persone colpite, indipendentemente dall’età, dal sesso e dalle comorbilità. La demenza infatti ha ostacolato la tempestiva individuazione dei primi segni e sintomi dell’infezione da SARS-CoV-2, con conseguente diagnosi tardiva e comparsa di complicanze gravi che hanno potuto evolvere più rapidamente verso la morte”.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)