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Carrino Antonella

Corte di Cassazione: attività di telemedicina nei centri commerciali

30-09-2019

Una recente sentenza della Corte di Cassazione(terza sezione penale, sentenza 38485/2019) fornisce un interessante sviluppo alla interpretazione delle pratiche sempre più diffuse nei centri commerciali di installazione di attrezzature tecnologiche per lo svolgimento di test diagnostici.

Questa la vicenda: in un centro commerciale di Roma i Nas ( Nuclei antisofisticazione dei carabinieri) avevano sequestrato apparecchiature tecnologiche per lo svolgimento di attività diagnostiche che, sia  per l'autorità giudiziaria  che per il tribunale del riesame ( cui erano ricorsi i legali  della società erogante le prestazioni), venivano svolte senza l’autorizzazione regionale a svolgere attività sanitaria. In pratica, si era in violazione dell’art. 193 del TULS (Testo unifico leggi sanitarie). Questa la tesi del Tribunale che, pur sostenendo che la struttura all’interno del centro commerciale svolgesse servizi di telemedicina e che la prestazione sanitaria venisse erogata pur essendo il paziente e il medico in località diverse, ribadiva la necessaria pre-condizione di una autorizzazione regionale. Il Tribunale aveva fondato la sua decisione sul fatto che l'erogatore del servizio fosse in realtà la struttura ubicata nel centro commerciale non solo perché così appare presso i potenziali clienti ( c’è un listino prezzi con l’indicazione della struttura e l’elencazione dei servizi diagnostici erogati) ma anche perché l’ acquisizione e la trasmissione dei dati sanitari avveniva, presso la struttura, tramite l'intervento dell’infermiera dipendente. 

Di parere opposto la Cassazione, anche in base alla giurisprudenza consolidata, che ha finora ritenuto essere necessaria una autorizzazione regionale allo svolgimento di attività sanitarie ( ex art.193 del Tuls) quando nella struttura, con una finalità imprenditoriale e non solo libero professionale, siano erogate prestazioni "tipicamente sanitarie" come somministrazione di farmaci o  assistenza medica e infermieristica, legate anche a strutture a carattere residenziale o ancora di medicina estetica, dermatologia o anche odontoiatria. Al contrario, non si possono qualificare atti tipicamente sanitari quelli che non comportano lo svolgimento di attività organizzativa né gli atti in cui è lo stesso paziente ad acquisire i dati anamnestici  con l’utilizzo di strumenti comunemente detti di autodiagnosi (come la rilevazione operata dallo stesso soggetto interessato della propria temperatura corporea ovvero del peso o della pressione arteriosa, sistolica e diastolica).

Nel caso considerato, per  la Cassazione “si è, in sostanza, di fronte a quel fenomeno, comunemente definito di "telemedicina" che si caratterizza in quanto, per la realizzazione di talune pratiche mediche, per lo più diagnostiche, non vi è la necessaria compresenza nel medesimo luogo del paziente e dell'operatore sanitario,operando quest'ultimo sulla esclusiva base di dati a lui pervenuti attraverso tecnologie informatiche il cui utilizzo, appunto, consente lo svolgimento di atti medici anche ‘fra assenti’.

In sintesi, quando presso la struttura del centro commerciale viene semplicemente raccolto il dato anamnestico, ma questo non viene assolutamente elaborato, non può dirsi, secondo la Cassazione, che sia stata eseguita alcuna prestazione"tipicamente sanitaria" e non si incorre dunque nell’obbligo della autorizzazione regionale all’espletamento di tale attività.

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Autore (Cognome Nome)Carrino Antonella
Casa Editrice, città
Collana
Anno Pubblicazione2019
Pagine
LinguaItaliano
Data dell'articolo19000101
Numero
Fonte
Approfondimenti Online
Subtitolo in stampa30-09-2019
Fonte da stampare
Volume
Approfondimenti
Carrino Antonella
Attori
Parole chiave: Servizi sanitari Telesoccorso, telecontrollo Giurisprudenza